L’eccezionalità della situazione in atto dovrebbe suggerire (quando non imporre) il ricorso agli unici (seppur estremi) rimedi plausibilmente rinvenibili nell’ordinamento vigente.
In attesa di scoprire se, in sede di conversione del DL 4/2022, saranno finalmente adottate misure più adeguate all’eccezionalità della situazione in atto, si fa seguire un breve elenco (in ordine di “utilità decrescente”) delle potenziali soluzioni, “plausibilmente” rinvenibili nel nostro ordinamento giuridico, per fronteggiare l’abnorme (e perdurante) rincaro dei prezzi e le crescenti difficoltà di approvvigionamento.
In estrema sintesi, l’impresa appaltatrice potrebbe inizialmente (tentare di) chiedere o la revisione prezzi ex art.1664, comma 1, cc (laddove il contratto – come sovente, purtroppo, accade – non la escluda espressamente) o, quantomeno, la rinegoziazione di quelle condizioni economiche, originariamente pattuite, che non dovessero più risultare adeguate alle sopravvenute condizioni di mercato (cfr Corte di Cassazione, Relazione tematica n.56/2020).
Per quanto non la si sia voluta aprioristicamente escludere (per la sola ragione che, non rinvenendosi nel “Codice 50” alcuna disposizione contraria, la si dovrebbe poter considerare applicabile a mente del comma 8 dell’art.30), va però detto che l’applicabilità della revisione prezzi ai contratti pubblici è tutt’altro che pacifica.
Ragion per cui risulta, prudenzialmente, preferibile chiedere la rinegoziazione (tanto più che, sul piano degli effetti, cambia poco o nulla).
Contestualmente (e in subordine) alla predetta richiesta, l’impresa potrebbe altresì, alternativamente (a seconda, cioè, delle specifiche convenienze e/o circostanze), (tentare di) chiedere:
– (ove si trovasse, a causa delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali necessari, nell’impossibilità di rispettare cronoprogramma) la sospensione dell’esecuzione (o dell’avvio) dei lavori per causa di forza maggiore (art.107, comma 4, del Codice);
– la sospensione dell’esecuzione (o dell’avvio) dei lavori fino a quando i prezzi non dovessero tornare “a quote più normali” (richiesta che, per quanto azzardata, pare comunque offrire alla stazione appaltante un ragionevole “compromesso” tra il rimedio conservativo della rinegoziazione e quello estintivo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta);
– la risoluzione del contratto per eccesiva onerosità (mentre, nelle more della stipula, l’aggiudicatario, per sciogliersi da ogni vincolo senza alcun effetto pregiudizievole, potrà solo sperare che maturino le condizioni di cui all’art.32, comma 8, del Codice).
In parallelo alle predette iniziative (e, a maggior ragione, in caso di esto negativo delle stesse), sembrerebbe altresì utile chiedere, iscrivendo tempestiva riserva, il rimborso dei maggiori oneri sostenuti e/o “sostenendi”.
Oltre a (auspicabilmente) accogliere le richieste di cui sopra, tuttavia, la stazione appaltante dovrebbe anche poter attivare, motu proprio, la soluzione prevista dall’art.106, comma 1, lettera c) del Codice, disposizione che, in quanto preordinata “…sia all’esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali sia a quella di evitare (in un contesto in cui l’appello al mercato è la regola) vere e proprie forme di diseconomia procedimentale” (TAR Piemonte, 28 giugno 2021, n°667), potrebbe anche legittimare “…la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto…” (ibidem).
Come meritoriamente chiarito dalla Direzione Opere Pubbliche della Regione Piemonte “…è infatti di tutta evidenza la riconducibilità del fenomeno del “caro materiali” a circostanza imprevista e imprevedibile, tanto nella forma quanto nella durata dello stesso, e dunque tale da legittimare la predisposizione di idonea variante in corso d’opera modificativa del contratto in esame (a prescindere dalla avvenuta stipula dello stesso” (cfr “Comunicato – Caro materiali – Informativa in materia e prime indicazioni operative”, pubblicato nel BURP del 2 dicembre 2021).
Precludendo tale soluzione, d’altronde, si rischierebbe di imporre, come scelta obbligata, la risoluzione del contratto (non già per eccessiva onerosità ma, ci si perdoni la licenza, per “sopravvenuta incongruità”) o la revoca dell’aggiudicazione (per sopravvenuta anomalia dell’offerta).
Consentire alla stazione appaltante di stipulare (o dare esecuzione a) un contratto divenuto oggettivamente incongruo, risulterebbe, invero, alquanto incoerente con il potere-dovere, che il Codice le attribuisce, non solo di verificare la “…attuale attendibilità economica dell’offerta…” (Consiglio di Stato 20 gennaio 2021, n°593) ma anche di escludere quelle offerte che “…per il fatto di non assicurare all’imprenditore un profitto ovvero un profitto adeguato, conducono normalmente ad un’esecuzione non corretta del contratto di appalto” (Consiglio di Stato 16 maggio 2003, n.4245).
Pur dovendo ribadire che, eccezion fatta per quella attivabile dalla stazione appaltante, le sopra indicate iniziative rappresenterebbero pur sempre dei meri tentativi, si invitano le imprese associate, eventualmente interessate ad approfondire il tema, a contattare lo scrivente servizio.